Pronti i provvedimenti salva Italia. Macroeconomica cronaca di un disastro annunciato.
Si sa il denaro, come ebbe a dire San Basilio Magno, è lo sterco del demonio, ma è altrettanto vero, secondo un celebre aforisma di qualche secolo precedente attribuito all’ imperatore Vespasiano, che “pecunia non olet”. Seppure apparentemente opposti nel loro significato e quindi incongruenti tra loro, pare che entrambi possano bene attagliarsi a quelle che sembrano le linee guida che muovono l’ attuale governo nella sua (in)consapevole tabella di marcia verso quelle che dovrebbero essere a suo modo di vedere le ricette salva Italia.
Se da una parte appare ingeneroso non riconoscere come in fondo la situazione è estremamente critica a livello planetario, dall’ altra bisognerà anche riconoscere che per così come si sono messe le cose per dirla alla Lenin, la situazione appare in fondo eccellente laddove la confusione sotto il cielo è tanta; della serie se il caos come arma di distrazione di massa è globale, ci sta che possa passare di tutto. Poi si sa la memoria è debole e non è detto ci si ricordi il giorno dopo quello che come uno spot con saccenza è stato affermato il giorno prima. Ed è proprio quello che purtroppo sta avvenendo in questi giorni dove tutto ed il contrario di tutto un giorno si ed un giorno no viene messo in discussione. Tra nuove chiusure all’ orizzonte, locali aperti si e locali aperti no, scuole che dovrebbero riaprire a settembre sicuramente si, anzi forse no, per finire addirittura con qualche voce che metta in predicato anche l’ indizione del referendum e delle imminenti elezioni regionali. E questo senza scomodare i proclami di vittoria all’ indomani degli Stati Generali (ma qualcuno ha visto uno straccio di documento utile uscito di li?), o la campagna acquisti sulle Autostrade (tutto fermo ai nastri di partenza e tutto da rivedere) alla saga penosa dei recovery found ove venne spacciato per successo un clamoroso autogol per il nostro Paese, la nostra economia e, soprattutto, la nostra politica agroalimentare e del made in Italy. E tutto questo senza contare la penosa gestione del fenomeno immigratorio che sta letteralmente prosciugando il nostro già magro bilancio a favore del finanziamento del terrorismo internazionale (vedasi la barzelletta del pagamento ai terroristi del riscatto per la liberazione di un “ostaggio” del proprio compagno di vita), o a beneficio della pletora di organizzazioni non lucrative che speculano sul traffico di esseri umani o ancora ai milionari contratti di noleggio delle lussuose navi quarantena sempre per migranti a beneficio delle loro compagnie di navigazione messe a terra dalle chiusure pandemiche. Tutto questo ovviamente mentre molte famiglie e imprese sono letteralmente alla fame o rischiano di chiudere senza mai più riaprire (ma se così è, è perche per qualche nostro illuminato ministro dovrebbero fare altro).
Comunque cerchiamo di andare con ordine dicendo che in fondo in tutte queste vicende, apparentemente incongruenti tra loro come si diceva all’ inizio, in realtà un sottile trait d’union esiste eccome….un sottile fil rouge che più rouge non si può e si chiama letteralmente privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite che ha accompagnato quelle che potremmo definire le cosiddette privatizzazioni al contrario, ossia come riacquistare a caro prezzo ciò che si è svenduto per due soldi. Operazioni, indietro tutta, in cui soltanto uno storico prestato all’ economia poteva accingersi.
Pare passato un secolo da quando agli inizi degli anni 90 anche allo scopo di trovare sbocco ad un deficit sempre più spaventoso ed il peso insostenibile di enti economici ed imprese pubbliche sempre più decotte, che lo Stato diede avvio al cosiddetto fenomeno delle privatizzazioni. Fenomeno molto veloce nella cosiddetta fase fredda ossia il mutamento della natura giuridica di enti che da pubblici assunsero la forma delle sociètà per azioni, molto più lento ed inconcludenti nella loro fase calda allorchè i pacchetti azionari allora per intero in possesso al Ministero dell’ Economia dovevano essere allocati presso il public retail. Ma si sa il nostro non è un Paese di grandi investitori ed è così che le quote di controllo assai spesso saldamente in mano pubblica (ricordate il fenomeno delle golden share?) per il resto vennero cedute (forzatamente) a grossi investitori istituzionali (leggasi banche) o per lo più svenduti all’ estero: praticamente un Paese in vendita. Fu così che grossi brand orgoglio del nostro made in Italy finirono presto per cambiare mano in uno shopping a senso unico laddove tutti acquistavano in Italia ma porte chiuse per i nostri all’ estero le cui operazioni furono prontamente stoppate dai rispettivi Stati (Francia ed Inghilterra in testa).
Era l’ epoca in cui comunque, specie nei servizi pubblici, il privato era definito migliore, più efficiente ed efficace del pubblico impegnato solo a garantire posti di lavoro e poltrone agli amici e agli amici degli amici.
Sorsero le Autority di stampo anglosassone, a presiedere i cosiddetti settori sensibili a garanzia delle tutela dell’ interesse pubblico specie nel settore delle telecomunicazioni e nell’ anti trust), ma per il resto, a parte la privatizzazione delle banche (che si scoprì nel 2008 con la Lehman brothers potevano anche fallire), fu irrimediabilmente una grossa svendita dell’ argenteria di casa a differenza di quanto si fece in altri Paesi che ebbero cura di risanare prima le loro imprese, renderle appetibili e quindi collocarle sul mercato con importanti clausole di salvaguardia per gli interessi nazionali considerati strategici.
L’ IRI, la Cirio, l’ Alfa Romeo, l’ Ilva, Autostrade e Telecom (asse Dalema – Prodi docet) furono svendute nel peggiore dei modi come ebbe a dire la stessa Corte dei Conti un decennio dopo parlando di operazioni opache ed economicamente dubbie senza contare il fatto che i relativi proventi non andarono ad alleggerire il debito pubblico, quanto piuttosto a sostenere nuova spesa improduttiva come in fondo sta accadendo oggi. Ma si sa conoscere la Storia significherebbe non ripetere gli stessi errori….eppure all’ economia avremmo uno che di Storia se ne intende.
E’ un fatto che Covid e pandemia permettendo, ecco l’ inversione di tendenza con pubblicizzazioni che avrebbero fatto impallidire lo stesso Stalin ed i suoi fallimentari piani quinquennali all’ indomani della strage dei Kulaki. Si è iniziato in sordina con le operazioni Monte dei Paschi di Siena, ed ora via via con le altre imprese fino da ultimo con la pantomina delle Autostrade (per la gioia dei Benetton a cui non pare il vero) al cui esito forse assisteremo oltre ad accollarsi debiti ed investimenti, alla sceneggiata dello Stato contro lo Stato nel momento in cui le cause che verranno intentate a furor di popolo per i disagi sulle strade dell’ esodo saranno praticamente intentate contro se stessi. Ma se la situazione se non fosse seria sarebbe sicuramente grave.
E la gravità non sta tanto nella decisa inversione di tendenza nelle pubblicizzazioni facendo carico sulla collettività e sulla relativa pressione fiscale dei relativi oneri in termini di debito, quanto piuttosto sia sul fronte del cosiddetto finanziamento in deficit di operazioni non soltanto discutibili in termini di economia socialista ante litteram, sia sul fronte delle altrettanto discutibili operazioni di prestito a caro prezzo, sia ancora infine, last but not least, e siamo alla pietra tombale, alle modalità di utilizzo degli stessi finanziamenti ben lungi dall’ essere investiti in termini di crescita strutturale, ricerca sviluppo e futuro, bensì per essere destinati ad un becero assistenzialismo a fondo perduto sulla stessa scorta di quello che fu il reddito di cittadinanza vero e proprio emblema delle politiche assistenzialiste.
Il drammatico è che a finanziare irresponsabilmente il tutto, oltre una pressione fiscale insostenibile, sta la telenovela dei cosiddetti recovery found disponibili (forse) nel 2023, non a fondo perduto, ma per lo più come prestito oneroso per ottenere il quale andranno attraversate le forche caudine del vaglio dell’ Unione europea delle nostre prossime manovre di bilancio, così come delle riforme che ci hanno richiesto come pensioni e riforma della giustizia, con la beffa finale che per saltare il voto all’ unanimità per avere una altrettanto paralizzante voto a maggioranza qualificata, si è accettato che i Paesi più riottosi ottenessero una sensibile riduzione dell’ onere della loro quota di partecipazione all’ Unione stessa. Risultato: il bilancio europeo già assottigliato dalla Brexit, dalla pandemia e ora da questi sconti ai dissidenti, avrà sempre più meno risorse da destinare alle sue politiche, in primis la PAC a noi assolutamente utile in termini di sussidi all’ agricoltura e alla filiera agroalimentare in generale per salvaguardare il made in Italy.
E’ un disastro annunciato, la cosiddetta tempesta perfetta verso la quale con manovre dirigistiche ai limite della Carta Costituzionale il “Grande timoniere” ci sta indirizzando. E…purtroppo…temo…il peggio deve ancora venire. Settembre è vicino ed il DEF prima o poi andrà in aula e allo studio delle varie Commissioni. Si dice le menzogne hanno le gambe corte…quello che preoccupa è che la memoria collettiva appaia ancora più corta…e poi, stiamo sicuri, ci sarà sempre il Covid a dare una mano.
Mauro Mancini Proietti