L’intelligenza artificiale e i Big Data stanno rivoluzionando il mondo del cinema (Parte 1)
Negli ultimi anni la tecnologia ha invaso sempre di più le nostre vite e l’utilizzo di internet in particolare ha avuto un impatto estremamente rilevante, portando a modificare costantemente usi e costumi della società. Una delle caratteristiche fondamentali della rete è che ogni movimento dell’utente lascia delle tracce, delle informazioni, dei dati. Le raccolte di questi dati di dimensioni considerevoli sono chiamate Big Data. Ad oggi i Big Data vengono utilizzati nei settori più disparati, dal marketing all’alta finanza, dall’ingegneria alla medicina. Il semplice accumulo di enormi quantità di dati è però inutile se non si hanno gli strumenti per elaborali e ricavarne informazioni rilevanti.
Per questo, di pari passo con i Big Data ha preso piede anche il machine learning un metodo di analisi dati che automatizza la costruzione di modelli analitici. È una branca dell’Intelligenza Artificiale e si basa sull’idea che i sistemi possono imparare dai dati, identificare modelli autonomamente e prendere decisioni con un intervento umano ridotto al minimo. Attualmente, attraverso questi sistemi addestrati grazie ai Big Data, è possibile anche produrre contenuti come ad esempio immagini o testi più o meno complessi.
I big data hanno un ruolo fondamentale nell’individuare abitudini di consumo, di conseguenza il loro utilizzo nel marketing sta cambiando radicalmente il modo di pubblicizzare i prodotti. La direzione che si sta prendendo è quella di raccomandare il prodotto giusto all’utente adeguato nel momento in cui potrebbe essere più propenso ad acquistare. Tutto questo è possibile grazie ad una conoscenza approfondita dei consumatori, ottenuta proprio grazie ai dati. Una delle testimonianze più comuni di questo fenomeno si può riscontrare ogni volta che cerchiamo un prodotto commerciale su internet. Pochi minuti dopo le nostre bacheche social vengono tempestate da annunci del prodotto. Non cinema, come nel marketing, i big data stanno diventando lo strumento principale per conoscere il proprio pubblico.
Da quando è nato, il cinema ha sempre sfruttato la tecnologia ed è sempre cresciuto grazie all’aiuto delle innovazioni tecnologiche. Dal sonoro al colore, dalla steadycam al CGI fino ad arrivare ai Big Data. L’utilizzo dei dati in ambito cinematografico ha rivoluzionato, in questi anni, i metodi di produzione dei contenuti audiovisivi. Per realizzare film di successo, infatti, è necessario ottenere un’immagine ad alta risoluzione del pubblico. Fino a poco tempo fa, questa istantanea era impossibile da realizzare ed era solito dividere il mercato in quattro quadranti: Maschio. Femmina. Più di 25. Meno di 25. Oggi grazie ai big data si può dividere il mercato in numerosi “micro-segmenti” profilando qualsiasi tipologia di spettatore. Per fare ciò sono necessari strumenti di analisi predittiva in grado di trasformare le tracce lasciate online da ogni utente in una serie di cluster molto precisi che rappresentino in modo accurato il pubblico moderno. In questo modo si può prevedere con più contezza il futuro di un prodotto e determinare una stima del suo ROI per decidere rapidamente e con cognizione se dare o meno il greenlight ad un progetto. L’utilizzo corretto dei Big Data può consentire agli Studios non solo di scegliere cosa produrre, come sfruttare al meglio il marketing mirato o come applicare una distribuzione efficace, ma può essere determinante anche in fase di pre-produzione, per la scelta del cast, per la scrittura della sceneggiatura e addirittura per alcune scelte di regia e montaggio.
Tendenzialmente, per mitigare il rischio, i grandi produttori preferiscono investire in progetti cinematografici che hanno già avuto successo commerciale piuttosto che creare storie nuove ma rischiose. In quest’ottica, una critica che si potrebbe muovere ai Big Data è che essendo parametrati su film popolari, le stime del ROI tenderanno a dare riscontri positivi solo ai prodotti mainstream, dando invece pareri negativi a tutti i contenuti più originali e innovativi. Il timore è infatti proprio quello che questi sistemi aumentino la tendenza generale degli Studios ad investire in tipologie di prodotti che hanno già dimostrato poter avere successo. In questo senso, i più scettici affermano che riducendo al minimo l’apporto umani si rischia di eliminare l’arte dall’audiovisivo, appiattendo il mercato e producendo contenuti tutti uguali e privi di spessore. Preoccupazioni legittime ma derivanti da una visione superficiale del fenomeno. (Continua)
Francesco Silveri