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L’ATTUALITA’ DELLA RIFORMA DELLA LEGISLAZIONE CRIMINALE TOSCANA DEL 30 NOVEMBRE 1786 DI CUI FU ARTEFICE IL GRANDUCA LEOPOLDO

Impossibile ripercorrere in queste brevi considerazioni il contenuto di estremo interesse degli articoli  che compongono la legislazione “criminale” in commento, al cui interno peraltro il lettore, ove avesse l’interesse a leggerli, troverebbe l’intreccio dei problemi morali e di natura politica che Beccaria per primo aveva trattato nel libro Dei Delitti e delle Pene risalente all’anno 1764, un Cesare Beccaria che in quel periodo respirava la spinta culturale proveniente da menti eccelse come quella di Pietro Verri, rappresentante degli illuministi lombardi, di cui consiglio, a chiunque abbia voglia di approfondire temi legati al mondo della giustizia,  la lettura della “Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese”. Il circolo culturale sopra citato, Accademia dei Pugni, fondò anche un giornale con cui divulgare le proprie tormentate ma innovative riflessioni e idee, denominato Il Caffè. Non è questa la sede deputata ad approfondire analiticamente la portata delle singole novità discusse all’interno dell’anzidetta Accademia e trasfuse nella Riforma del Granduca Leopoldo – novità che andavano a mutare, con sommo scandalo,  il concetto di colpa di origine religiosa al cospetto del delitto -, approfondimento che imporrebbe la redazione di una monografia di notevoli dimensioni, peraltro  la redazione delle presenti considerazioni ci consente di analizzare sinteticamente alcuni dei princìpi da cui traggono origine le spinte riformistiche proprie di detti illuminati, e, di conseguenza, la stessa “Riforma”, e la loro attualità anche in relazione a problematiche tuttora irrisolte nel mondo della Giustizia. Attualmente nel nostro Paese si parla di indebolimento dell’idea della pena e del timore di essere puniti (scarso timore di punizione), indebolimento che sembra concorrere a causare la commissione delle condotte illecite. Non possiamo ricondurre l’illecito, come fece  ironicamente E. Flaiano al fatto che “l’Italiano è mosso da un bisogno sfrenato di ingiustizia”, bensì, in primo luogo, come oramai riconosciuto da molti studiosi della materia, all’eccessivo numero di leggi ed all’eccessiva analisi casuistica che caratterizza il nostro processo, quale tecnica del pentimento, nel senso di una  ricerca esasperata di ogni motivo, di ogni sfumatura che possa  portare a comprendere il perché di quella condotta, con l’effetto di arrivare a giustificare, seppure parzialmente, ogni singolo atto, con l’effetto inevitabile di una sorta di deresponsabilizzazione del singolo autore.