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IL NUOVO MOTTO DI ALCUNI PARTITI, “MEGLIO IN POCHI PER GESTIRSI MEGLIO”

Il motto “meglio in pochi per gestirsi meglio” pervade oramai alcuni partiti, incapaci di una riflessione interna quale argine alla costante emorragia dei propri eletti e di parte della classe dirigente.  Un’incapacità non casuale, ma indotta dalla autoreferenzialità da cui sono affetti coloro che in alcuni partiti ricoprono ruoli apicali, autoreferenzialità che trasforma oramai i partiti in corpi estranei rispetto agli elettori, ai quali dovrebbero invece rispondere anche in relazione alle scelte operate al proprio interno in merito alla selezione  di quella classe dirigente che dovrebbe tenere vivo, anche sui territori, il rapporto con gli elettori.

Si assiste quindi ad una voluta assenza di meritocrazia, a danno dello stesso partito, assenza che consente a persone di scarsa preparazione tecnica, persino di inesperienza lavorativa, di ricoprire ruoli dirigenziali, perpetuando la propria presenza “secola secolorum”, a tale fine avvalendosi di persone di ancora minore preparazione, incapaci queste ultime come tali di minare la altrui “cadrega”, in una sorta di spirale al ribasso che incide negativamente sul futuro del nostro Paese. Il famoso principio dello ”uno vale uno” applicato oramai sistematicamente all’interno di alcuni partiti, funzionale ad assicurare  al manovratore massima libertà di azione tra canti di gloria dei signorsì di turno, posizionati nei punti chiave dal manovratore stesso,  in una sorta di  circolo vizioso stucchevole e dannoso.  Incapaci che reciprocamente si rafforzano nelle loro posizioni, impedendo quella selezione naturale basata sulla capacità che risponde al principio evoluzionistico, confidando oltretutto che i rappresentati si adattino alla incapacità dei rappresentanti in un abbandono collettivo alla ignoranza, dalle conseguenze irreparabili. Il prodotto di ciò è sotto gli occhi di tutti: inadeguatezza di buona parte della classe dirigente interna ai partiti, autoreferenzialità, assenza di discussione interna, assenza di congressi, ignoranza, nel senso etimologico del termine, che pervade sistematicamente la struttura del Paese, dilettantismo allo sbaraglio. Il tutto al cospetto di una società, in veloce evoluzione, che imporrebbe la scelta costante delle persone più preparate (non dico “migliori”, non discutendosi di aspetti morali o etici), anche tecnicamente, per affrontare il futuro, garantendo risultati positivi per le future generazioni. Al cospetto di quanto evidenziato, ancora qualcuno si meraviglia che molte persone della cosiddetta società civile, chiamate dalla politica a candidarsi, declinino con garbo l’invito: se i proponenti soltanto riflettessero sulla condizione, dagli stessi proponenti consapevolmente determinata, in cui si troverebbero ad operare i nominandi, comprenderebbero persino loro i motivi che inducono persone “valorose” a mantenersi  fuori dall’agone politico, evitando così di doversi poi confrontare con “capataz” posizionati sul territorio del tutto culturalmente inadeguati, oppressi soltanto dall’angoscia di perdere il proprio potere. Da ciò il motto in epigrafe, che consente ai “manovratori” di fare spallucce ogni volta che vedono perdite sul campo dovute a fuoco amico, rinsaldando la propria posizione al grido “meglio in pochi per gestirsi meglio”. Fa “tenerezza” vedere come coloro che al proprio interno e nei fatti aborrono la meritocrazia, si genuflettano poi ad un presidente del consiglio che, piaccia politicamente o non piaccia, certamente è persona tecnicamente preparata: siffatta genuflessione dovrebbe condurre infatti ad un ripensamento sulle strutture interne ai partiti, all’insegna, finalmente, del principio meritocratico. Ma ciò non avviene. La sfida che attende peraltro il nostro Paese è tale da imporre alla classe politica una improcrastinabile  riflessione. Ed invero, o torniamo in tempi brevi ad una rappresentanza politica basata sul merito, o dovremo rassegnarci a piccole corti autoreferenziali, del tutto slegate dai cittadini e incompatibili con un sano sistema democratico. Le scadenze prossime non consentono di tergiversare ancora.

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