Il divario tra la TV lineare e le piattaforme di streaming è davvero incolmabile?
È ormai evidente che il futuro dell’intrattenimento sarà dominato da piattaforme connesse che raccolgono grandi quantità di dati dai loro utenti. Tutti i media tradizionali si dovranno riadattare inevitabilmente alle nuove logiche del mercato derivanti dall’avvento e dal successo di servizi come Netflix, Amazon, Disney Plus, ecc, i cosiddetti OTT (Over The Top) cioè tutte quei portali che, attraverso una connessione internet, garantiscono un servizio di streaming on demand su abbonamento.
Nei prossimi anni, i broadcaster tradizionali, se non vogliono essere condannati all’oblio, dovranno rivoluzionare il loro modo di interfacciarsi agli utenti.
La conformazione generalista che ha caratterizzato nel tempo la televisione è ormai obsoleta e ampiamente superata dalle piattaforme che, grazie ai dati, conoscono tutte le sfaccettature dei loro utenti. Per rimanere competitiva la televisione deve riuscire a modificare alcune sue caratteristiche, passando da un dispositivo one-to-many, ad un dispositivo one-to-one, avvicinandosi di fatto a quelli che oggi sono i principali player dell’industria dell’intrattenimento.
Con alle smart TV connesse, il mezzo televisivo ha la possibilità di diventare più misurabile e, utilizzando gli strumenti adeguati, anche le reti tradizionali possono avere l’opportunità di ricavare informazioni utili sui consumatori, andando ad ottenere quello che è il vero vantaggio degli OTT: la conoscenza dettagliata del suo pubblico. In Italia esistono già esempi di quello che sarà nei prossimi anni il futuro della televisione, in particolar modo piattaforme come Rai Play che consentono, su diversi disposivi, sia la visione dei canali in diretta, sia lo streaming on demand, con un catalogo di film, serie tv e programmi in costante aggiornamento. Recentemente in Italia è sbarcata la piattaforma gratuita della Paramount chiamata PlutoTV che offre un discreto catalogo di film e serie. Sarà proprio lo streaming gratuito alimentato dalla pubblicità che nei prossimi anni lancerà la sfida agli OTT.
Grazie alle iscrizioni rapide tramite account Google o social, grandi portali generalisti suddivisi in canali tematici o piccole realtà indipendenti per nicchie di pubblico, potranno tracciare i loro utenti garantendo un servizio gratuito e vendendo spazi pubblicitari targettizzati al loro interno.
In quest’ottica la pubblicità giocherà un ruolo essenziale. Tramite profili dedicati ai singoli utenti o al nucleo familiare, i contenuti pubblicitari saranno indirizzati con gli stessi meccanismi di targhettizzazione che oggi caratterizzano i social o le Google Ads, aumentandone in maniera esponenziale l’efficacia rispetto agli annunci televisivi tradizionali. Inoltre, con pubblicità dedicate ai singoli utenti si avrà la possibilità di ampliare enormemente gli spazi da vendere agli inserzionisti. Non bisognerà più vendere un unico slot indirizzato a tanti utenti, ma si avranno a disposizione tantissimi slot ognuno per un utente differente. Implementando la qualità e la quantità degli annunci la televisione ha quindi addirittura il potenziale per aumentare le entrate derivanti dalla pubblicità e, attraverso un uso mirato delle metriche di visione del singolo utente, si avrà la possibilità di scegliere con consapevolezza quali contenuti produrre o acquistare in licenza, mantenendo alto anche il numero degli spettatori.
Una sorta di economia circolare dell’intrattenimento, nella quale lo spettatore consuma gratuitamente il prodotto audiovisivo, fornisce automaticamente dati sulle sue abitudini di consumo, consente al broadcaster la possibilità di vendere spazi pubblicitari di alta qualità alle agenzie di marketing che a loro volta finanzieranno il mercato. Solo investendo in infrastrutture che possano consentire questo tipo di logiche di consumo i broadcaster potranno sopravvivere all’inevitabile dominio degli OTT sul mercato dell’intrattenimento.
Francesco Silveri