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30 settembre, giornata mondiale della traduzione.

E’ una delle professioni più antiche del mondo. Ma, ad oggi, è anche una delle più bistrattate e dimenticate. A tal punto che, forse, non basta una giorno ad hoc per ricordarsi dell’importanza della traduzione. Ma è già qualcosa. Sì, perché il 30 settembre si celebra la Giornata Mondiale della Traduzione proprio nel giorno in cui si festeggia San Girolamo, primo traduttore della Bibbia in latino, considerato il santo patrono dei traduttori.

Il riconoscimento arriva nel 1991. Quando la Fit, Federazione Internazionale dei Traduttori, lancia l’idea di una Giornata mondiale della Traduzione. Per avere l’ufficializzazione da parte dell’Onu bisognerà aspettare ancora un po’. Soltanto nel 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione che legittima il ruolo della traduzione in quanto collegamento tra le nazioni e promotore di dialogo, comprensione e cooperazione.

D’altronde, la storia ci dimostra come il campo della traduzione e dell’interpretazione sia oggi indispensabile per gestire relazioni tra paesi e promuovere conoscenza e saperi. Non a caso la giornata mondiale ricade proprio nel giorno in cui si festeggia San Girolamo, teologo romano e autore della prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia, la Vulgata. Oggi considerato il padre di traduttori, interpreti, terminologi, linguisti, docenti e anche semplici appassionati.

Una categoria che, nonostante l’importanza del lavoro svolto, non sembra essere ricompensata con un riconoscimento sociale adeguato. Colpa delle paghe poco dignitose e di un lavoro delegittimato dalla società. Difficile, se non impossibile, vivere di traduzione. Basti pensare che, stando ad una stima dell’Associazione Italiana Editori, un traduttore editoriale abbia in media un reddito che va dai 14.000 ai 15.000 euro lordi. Non solo. Perché il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia, condotto sempre dall’AIE, mostra come la percentuale dei libri destinati alla traduzione sia in netto calo rispetto al passato.

Insomma, una delle categorie più deboli del mondo del lavoro, con compensi che addirittura si attestano ben al di sotto della media europea. A questo si aggiungono le condizioni precarie in cui si trovano, spesso, a lavorare questi professionisti. Da soli, a casa, nel silenzio più assordante di una stanza. E, magari, senza certezze sul futuro né tantomeno tutele pensionistiche. Eppure, pensare di dover fare a meno della traduzione significherebbe rinunciare ai vantaggi che la globalizzazione offre e a cui ci ha abituati negli ultimi anni. Che dire, un vero peccato.

Irma Annaloro