Epatite C: in Toscana urge ripartire con screening e trattamenti dopo i rallentamenti dovuti alla pandemia.
Un nuovo esame per scoprire insieme il Covid e Hcv
Sono 213.052, secondo i dati AIFA aggiornati al 21 settembre, i pazienti affetti dal virus dell’Epatite C «avviati» al trattamento. Un numero importante, ma che stride se confrontato con i 193.815 trattamenti avviati al 7 ottobre 2019. Il basso incremento di poco meno di 20mila unità in un anno evidenzia il rallentamento provocato dalla pandemia, che ha messo in discussione l’obiettivo di eliminazione dell’Epatite C entro il 2030 fissato dall’OMS: un risultato forse ancora possibile, soprattutto grazie all’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali.
Ancora prima dei trattamenti, devono essere realizzati gli screening, fondamentali per scoprire il “sommerso” di coloro che non sanno di aver contratto il virus, che si stima tra i 200 e i 300mila soggetti. Questi temi sono al centro del progetto MOON di Abbvie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie. La regione Toscana ha posto in atto strategie utili a garantire l’accesso alla cura a tutti i pazienti con infezione da HCV sin dal gennaio 2015 (quando i nuovi farmaci si sono resi disponibili). “Nell’aprile 2018 – spiega la prof.ssa Maurizia Brunetto, Direttore UO Epatologia – Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato e Professore Straordinario Medicina Interna – Dipt. di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa – con la Delibera Regionale 397 ha varato un programma finalizzato a garantire in 3 anni il trattamento di tutti i pazienti toscani con infezione da HCV nota. La progettualità ha previsto la messa in opera di strategie di informazione della popolazione generale, formazione e coinvolgimento dei medici di Medicina Generale, creazione di percorsi facilitati per accesso a screening e cura dei pazienti seguiti dai SERD e dei detenuti e un potenziamento mirato dell’attività assistenziale dei centri prescrittori. Infine nel 2020 era previsto anche un progetto pilota di screening sulla popolazione generale per definire successiva strategia regionale. La pandemia da SARS-CoV2 ha rallentato e in parte bloccato l’attuazione di alcune strategie, è quindi necessario ripartire procedendo con la rimodulazione di alcune attività favorendo la collaborazione fra territorio e centri prescrittori grazie alla telemedicina e semplificando la gestione della prescrizione e distribuzione del farmaco”.
L’infezione da HCV può provocare complicanze anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico. In Italia vi sono almeno 200mila pazienti con cirrosi epatica, dovuta nel 50% dei casi proprio all’HCV (il resto 20% Alcool, 20% NAFLD, 10% HBV). Ne muoiono almeno 20mila per anno, di cui la metà per lo sviluppo di un carcinoma epatocellulare che si sovrappone alla cirrosi.
Tra le strategie avviate per favorire l’emersione del sommerso, una valida opportunità nasce proprio dalla pandemia: la realizzazione di un test congiunto per analizzare la presenza sia di anticorpi diretti contro la Covid-19 che quelli diretti contro il virus dell’Epatite C.
“Nel panorama nazionale sono nate numerose iniziative per valutare la sieroprevalenza per il Sars-Cov-2 – spiega il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali e Professore Ordinario di infettivologia all’Università di Roma Tor Vergata –, è auspicabile che in queste iniziative si colga l’occasione per attuare quanto previsto dal Decreto Milleproroghe, che ha stanziato un finanziamento di 71,5 milioni per l’emersione del sommerso del virus dell’epatite C, per permettere alle persone affette da questo virus che non sanno di esserlo di poter accedere ai trattamenti. Recentemente, alcune iniziative in tal senso sono state avviate in importanti piazze italiane, a Roma a Piazza del Popolo e a Villa Maraini, dove il test congiunto si è rivolto a una delle categorie maggiormente coinvolte, coloro che fanno uso di droghe per via endovenosa. Ciò ha reso possibile l’analisi di diverse centinaia di soggetti, permettendo di arrivare a numerose diagnosi di epatite C. L’aspettativa è che queste iniziative possano moltiplicarsi a livello nazionale, sia sul territorio che presso strutture sanitarie”.
Sara Lavorini