COME HO VISSUTO IL SISMA DELL’IRPINIA DI QUARANTA ANNI FA
L’altro fatto che associo ad una dolorosa sensazione fu rappresentato appunto dal terremoto dell’Irpinia. Ricordo infatti nitidamente la preoccupazione che provai quando la sera del 23 novembre del 1980, la mia compagna di scuola mi comunicò telefonicamente che il padre sarebbe partito per l’Irpinia con una colonna di mezzi militari per soccorrere la popolazione, in assenza di notizie certe su che cosa davvero fosse accaduto, ma percependo comunque si trattasse di qualcosa di estremamente grave, come in effetti si sarebbe rivelato essere, visto l’immediato ordine di mettersi in marcia. Moltissime le immagini poi trasmesse dalla Rai, che ben presto ci resero edotti della tragicità dell’evento, delle vite spezzate e del dolore di tante persone. Ma quella tragicità ho avuto modo di viverla con maggiore partecipazione quando nell’anno 1990 trascorsi tre mesi nella bella città di Benevento, nel corso dell’addestramento delle reclute come Carabiniere ausiliario, presso la Caserma Pepicelli, dove conobbi numerose persone scampate al terremoto, avendo modo di vedere vicino le ferite inferte sedici anni prima dal sisma. Tornai poi a Benevento a distanza di sette anni per motivi affettivi, in particolare a causa dell’origine beneventana dei miei suoceri, avendo modo, nelle ripetute occasioni di incontro ai tempi del normale “contatto sociale”, di ascoltare con interesse i racconti delle persone in merito al dolore ed all’angoscia causati dal sisma, e sugli anni di sofferenza che erano seguiti al medesimo. Mi ha colpito nei loro racconti non soltanto il ricordo dei parenti, degli amici e dei conoscenti deceduti durante il sisma, ma la loro costante sensazione di essere rimasti orfani delle loro Chiese, di quelle Chiese in cui erano cresciuti, sostituite al tempo della ricostruzione da Chiese con forme architettoniche assolutamente moderne, inidonee, a loro dire, a trasmettere quel senso religioso che promanava dalle “vecchie” Chiese distrutte dal sisma. D’altronde, colpiva e colpisce tuttora chiunque abbia modo di attraversare l’area di Benevento e l’Irpinia, il contrasto tra le vecchie costruzioni che hanno resistito al terremoto e le nuove costruzioni che rappresentano per alcuni una forma di riscatto rispetto ad un doloroso passato, ma che poco hanno a che fare in molti casi con la bellezza delle architetture tipiche del Sud Italia. A tale proposito, ricordo che mio suocero, nelle occasioni in cui insieme ci recavamo nel beneventano, mostrava con orgoglio le nuove costruzioni post terremoto, con la mobilia moderna al loro interno che aveva soppiantato i “vecchi” mobili che esprimevano la tradizione, la cultura dei luoghi, lasciando confinato nel passato quel senso della bellezza che diffondevano le vecchie costruzioni, capaci di segnare l’estetica del nostro Meridione. Dà conto di quanto quel sisma abbia segnato la Campania il fatto che, a distanza di quarant’anni, gli atti notarili di compravendita di immobili ubicati nelle aree colpite dal sisma contengono ancora clausole assolutamente specifiche, ignote a chi non abbia convissuto con il terremoto o non svolga nell’area dallo stesso martoriata la propria attività professionale. Ma proprio quella normativa così come gli immobili ancora segnati dal sisma, sembrano posti a futura memoria, per tutti coloro che a distanza di quarant’anni hanno ricordi sfumati del sisma, rammentandone ove ce ne fosse la necessità, la sua portata dolorosa e la sua idoneità a sfregiare per sempre il nostro Meridione. Non so se, come dichiarato da qualche giornalista, il terremoto del 1980 ha causato o ha concorso a causare la nascita dei “terremotati di mestiere”, posso però dare personalmente conto, avendone avuta conoscenza diretta, del gran numero di persone che ha trovato la forza di ripartire dopo un sisma come quello del 1980, ricostruendo le proprie abitazioni, riaprendo le proprie attività, ridando in siffatta maniera dignità ad intere aree del nostro bellissimo Paese, nel fare ciò confidando esclusivamente nelle proprie forze ed in quello spirito di solidarietà che da sempre caratterizza il nostro essere italiani.
Silvio Pittori