Influenza virale ed influenza psicologica
In questo particolare momento siamo stati obbligati a riflettere sul futuro in funzione di un presente instabile ed incerto, dove a ben poco valgono le esperienze del passato. Il nemico è intangibile ma reale, non guarda nessuno in faccia, ricco o povero, nobile o plebeo, uomo o donna, acculturato o ignorante, cristiano o musulmano, bianco o nero, con un unico distinguo: il livello di virulenza secondo lo stato fisico, età e quadro anamnestico del soggetto contagiato.
Mi è tornato in mente quando, molti anni fa, ebbi occasione di leggere per la prima volta “la livella” di Antonio De Curtis, il grande Totò: in stretto “napoletano” ed in rima, scrisse un pagina di storia della filosofia che affrontava il tema dell’uguaglianza tra gli uomini, evidenziando la stupidità umana che ancora oggi emerge quando si ha a che fare con soggetti affetti dalla sindrome del “marchese del grillo”. La ricerca spasmodica di saltare “step”, in ambito professionale così come nella vita, rende il percorso umano incompleto e la preparazione labile.
Ritorno di nuovo sul concetto della società dell’apparire, dove i valori hanno lasciato il passo al fare becero ed alla fisicità esasperata espressa spesso dall’uso di abbigliamenti assurdi quanto succinti, le cui guarnizioni, sono costituite da strappi, toppe colorate, pizzi merletti e grembiuli di tipo scolastico, al posto delle normali camice. L’uso dello smartphone e quello sempre più smodato di “vetrine futili” quali wathsapp, facebook, instagram ed i social network tutti, disumanizzano i rapporti, ti levano la gioia della stretta di mano, dell’abbraccio, delle frasi dette con lo sguardo, del percepire il senso del discorso con il variare della tonalità della voce, del tranquillizzare con un gesto o del rimproverare con lo sguardo. Tutto questo tende ad annullare la sensibilità ed incrementa le più irrazionali forme di egoismo e di edonismo tra i giovani. Si perdono il senso del rispetto e quello della correttezza e dell’etica. Si ritorna ai momenti di violenta inciviltà medievale , della locuzione mors tua vita mea, che evidenzia efficacemente il comportamento connotato da caratteri di bieco opportunismo, pur di arrivare ad un obiettivo.
Pur di evitare le brutte figure che vengono pubblicizzate sui social in modo virale con tanto di foto e video esplicativi , sempre più ragazzi, soprattutto minorenni fanno sexting dopo aver assunto dosi significative di medicinali nati come potenziatori e coadiuvanti nelle prestazioni sessuali per uomini dai 45 ai 60 anni. Questo per evitare che la partner del momento, nell’invio di testi o immagini spesso sessualmente esplicite tramite social media o telefono cellulare, metta in ridicolo il malcapitato che viene a quel punto messo alla gogna, drammaticamente “bruciato” e tacciato di essere “impotente” con ripercussioni psicologiche sul soggetto interessato, potenzialmente irreversibili. Quello di cui non viene tenuto debitamente conto dagli interessati è che, come detto, si salta uno o più “step”, e questo comporta un disallineamento della maturità fisica con quella psichica, ma soprattutto si stravolge il criterio della sessualità che rischia di diventare un mezzo e non un fine. Un atto automatico, quasi privo di significato, a prescindere dai sentimenti e dalle emozioni magari anche di un solo momento, come prendere un aperol spritz o leggere un “magazine” collegato a trasmissioni televisive quali quelle del tipo “grande fratello”, “l’isola dei famosi” o ancora, “tempation island”. Tutto questo comporta un’amplificazione esponenziale della fragilità psicofisica dei nostri ragazzi che alla ricerca spasmodica di un “arrivare”, ma senza sapere dove, senza un punto di arrivo o un obiettivo “pensato”, saltano step, a due a due fino a quando non diventano dispari e fino a quando, piano piano, si accorgono drammaticamente di avere semplicemente rincorso se stessi. Drammaticamente, perché il non aver salito le scale, gradino per gradino, non gli ha consentito di prendere le misure della “propria” scala, di non potere accertare se “pedate” ed “alzate” , siano costanti, se c’era qualche gradino rotto o scivoloso e se non fosse il caso di fermarsi o di utilizzare la ringhiera per appoggiarsi o per aiutarsi nella salita. Oppure di fermarsi ad un piano più basso e non continuare a testa bassa, seguendo gli altri, senza sapere a quale piano, effettivamente, dover arrivare. E’ in questo contesto che i nostri ragazzi perdono la propria autonomia e la propria personalità, e per compensarne la carenza, si rimettono ai suggerimenti di quelle figure a volte inquietanti ed apparentemente forti che sono gli “influencer”.
Ma vediamo chi sono e come operano questi influencer, quasi sempre giovanissimi, e soprattutto con quali mezzi si insinuano nelle menti, nei gusti e negli stili di vita dei ragazzi. Solitamente partono dall’utilizzo dalla “storytelling” e cioè il metodo del raccontare storie, impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, generalmente trattando un argomento politico, economico o aziendale, e più recentemente, in modo a volte occulto, subdolo ed invasivo, scendendo sempre piu’ nel personale, sociale e sempre più rivolto ai giovanissimi.
L’influencer è divenuto ormai a tutti gli effetti un “testimonial” di qualunque tipo di prodotto o iniziativa commerciale che con un semplice post sui social network raggiunge in un secondo milioni di follower, (pensate che solo una delle più note e più ricercate, la Ferragni, determina circa 74 milioni di interazioni mentre il marito, Fedez ne movimenta circa 20 milioni su Instagram). La capacità di attivazione di interesse dei due influencer è enorme così come è enorme il numero di soggetti privi di personalità e di idee che sposano al buio ogni tendenza, idea o comportamento che l’influencer tende a “sponsorizzare”, fino addirittura alla scelta del partito o del soggetto da votare, seppure in questo caso la cosa è un po’ più complessa in quanto spesso non basta dire vota tizio o vota per quel partito ma il “martellamento” è più scientifico e tende già, da qualche mese prima, ad affrontare temi specifici di interesse dei follower, per poi, l’ultima settimana prima della consultazione elettorale, evidenziare chi è pro e chi contro la soluzione di quei temi. Insomma, un grande lavoro psicologico finalizzato ad entrare nelle menti dei nostri giovani, sempre meno preparati ad affrontare la vita (spesso per responsabilità della Famiglia e della Scuola), che dedicano meno tempo alla riflessione e sempre più all’uso della tecnologia informatica.
L’influencer ha ormai in mano la gestione della comunicazione di massa ed usa la propria capacità di persuasione, che non ha bisogno dell’appoggio di giornali, quotidiani o periodici, non ha bisogno di programmi televisivi e della pubblicità di Carosello, per promuovere le nuove tendenze nel campo della moda o per la scelta di un profumo o di un biscotto o di un nuovo “slang”. Guadagnano cifre improponibili a danno di decine di migliaia di ragazzi, che privi di ideali, personalità e linee guida, semplicemente seguono la corrente per non restare indietro, e riempiono di clic o di “mi piace”, qualunque iniziativa dell’influencer per far vedere che loro “ci sono”. E’ proprio su questo che gli influencer basano il loro potere. Più “clic”, più “mi piace”, più i contratti commerciali di pubblicità da parte delle aziende aumentano, così come aumentano i corrispettivi a favore degli influencer, vocabolo che pare una sorta di acronimo di “INFelici, L’Unica cosa sono le ENtrate CERte”.
Il dramma è quando il “mi piace” arriva dal Governo, quando un Presidente del Consiglio si rivolge, dandone formale comunicazione, ai due influencer più noti del nostro Paese per chiedere che invitino i giovani frequentatori delle loro chat a mettere la mascherina quale mezzo di contrasto alla diffusione della pandemia. Una sorta di abdicazione dei poteri. Questo senza rendersi conto del valore aggiunto che, fra l’altro, questa iniziativa “istituzionale” ha dato ai due influencer interpellati, in materia di potere mediatico e commerciale. Soprattutto non si è pensato al pessimo segnale che questa manifesta sudditanza non solo psicologica, ha dato ai nostri giovani, allontanandoli sempre più dal sistema scolastico cui forse sarebbe stato meglio rivolgersi, demandando a docenti e medici, spiegando in lezioni “mirate” durante l’attività di didattica a distanza o per le scuole medie durante l’attività di presenza, cosa sia il COVID19 ed il perché delle mascherine.
Sarebbe opportuno utilizzare l’opportunità “concessaci” dalla Pandemia del ricongiungimento forzato del nucleo familiare, per cominciare a parlare con i nostri figli, confrontarci con loro, condividere “nuove” esperienze quale la lettura di un libro. Libri : quelle strane cose che solitamente si presentano con un disegno davanti stampato su un foglio solitamente un po’ più spesso rispetto a quelli interni dove si trovano tante pagine scritte, fosse anche un libro di cucina. Magari evitando di leggere quel libro, solitamente con la copertina gialla, dove ci sono all’interno tanti nomi di possibili personaggi ma non se ne capisce la trama, perché potrebbe essere un vecchio elenco del telefono.
Ricominciamo a parlare guardandoci negli occhi, per ora anche da remoto, cerchiamo il confronto, soprattutto lasciamo che gli altri si sfoghino con noi e facciamo tesoro di quanto apprendiamo. Ripartiamo dall’ascolto della musica classica, dallo studio dell’arte, dalla storia della nostra Italia. Ripartiamo da noi stessi, dai nostri ideali, dalla nostra voglia di lottare per fare valere i nostri diritti consapevoli di fare sempre e comunque fronte ai nostri doveri. Il nostro dovere oggi, è recuperare la nostra dignità, senza se e senza ma.
Mahatma Gandhi diceva:” Non vale la pena avere dei diritti che non derivano da un dovere assolto bene”.
Ora sta a noi mettercela tutti.
Giorgio Fiorenza