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Il Neorealismo, quando la guerra incontra il cinema

Il Neorealismo nasce in Italia nel secondo dopoguerra e rivoluzionerà il modo di fare cinema negli anni successivi. Dopo la guerra si diffonde un nuovo modo di guardare il mondo che necessita quindi un cambiamento nel modo di filmare. I teatri di posa vengono quasi del tutto abbandonati, non tanto perché gli stabilimenti siano stati distrutti o risultino impraticabili, i registi abbandonano gli studi per raccontare i viaggi tra le macerie della guerra, il caos delle strade cittadine, la vita nelle campagne e nelle periferie. Spesso gli attori sono non professionisti ma i grandi attori in grado di attrarre pubblico non scompaiono, vengono però usati in maniera differente rispetto al passato: in “Roma città aperta”, ad esempio, Aldo Fabrizi e Anna Magnani, noti all’epoca per i loro ruoli comici vengono utilizzati in ruoli drammatici.
Il critico cinematografico francese Andrè Bazin afferma che quasi tutti i film del dopoguerra si fondano su quella che lui definisce “legge dell’amalgama”, ovvero il costante e programmatico intreccio di professionisti e non professionisti, di volti del passato e fisionomie nuove.

Il neorealismo italiano corrisponde, per Bazin, all’esaltazione del realismo ontologico dell’immagine fotografica attraverso un particolare tipo di realismo estetico, una scelta artistica che consente di dare l’illusione il più perfetta possibile della realtà attraverso una serie di artifici. Il realismo nell’arte non può infatti che derivare da artifici. L’accentuazione dei caratteri popolari dell’Italia, apportata dal Neorealismo, comporta, quasi automaticamente, l’immersione nei dialetti. Ad essi è attribuita la funzione di riflettere ed esplorare le culture regionalistiche e marginali del paese. Il dialetto nel Neorealismo viene utilizzato secondo due modalità differenti: come strumento conoscitivo di una dimensione antropologica e sociale e come effetto di spettacolarizzazione del linguaggio popolare, tradizionalmente più vivo rispetto a quello della comunicazione corrente. In “Paisà” vengono intrecciate le parlate dialettali dei personaggi italiani con l’inglese degli alleati e il tedesco degli occupanti.

A Rossellini interessa soprattutto rappresentare le difficoltà di comunicazione tra culture diverse. In “La terra trema” invece, Visconti, utilizza il dialetto siciliano privilegiando l’aspetto espressivo ed ideologico del linguaggio. L’idioma siciliano scelto da Visconti è però molto lontano dall’accattivante romanesco di “Ladri di biciclette” o dal plurilinguismo di “Paisà”. Come suggerisce la didascalia iniziale in “La terra trema”: “La lingua italiana in Sicilia non è la lingua dei poveri”, l’uso del dialetto funge quindi da strumento di denuncia della separazione etnico – linguistica della nazione, assumendo prima di tutto una funzione politica. Visconti, inoltre, utilizza il dialetto stretto, rifiutando ogni addomesticamento italofono, proprio per la sua chiusura comunicativa, il suo arcaismo e la sua forza di evocazione mitica. In film come “Due soldi di speranza” o “Pane amore e fantasia”, invece, il linguaggio dialettale viene filtrato in maniera artificiale, traducendo i dialetti stretti in dialetti più comprensibili al pubblico e adatti alla divulgazione cinematografica. Negli anni cinquanta l’uso del dialetto cambia forma, raggiungendo, soprattutto nelle commedie, un canone seriale, grazie anche all’egemonia raggiunta dal napoletano e dal romanesco sempre più usati come ingredienti di colore e di espansività popolaresca. Anche grazie a questi utilizzi commerciali, il dialetto, si afferma come uno dei valori che identificano il cinema del dopoguerra.


Con la nascita del “Neorealismo Rosa” il neorealismo diventa un genere destinato al consumo di massa. Questo nuovo filone, nato all’inizio degli anni cinquanta, segna il passaggio dal dramma neorealistico alla commedia. “Pane amore e..” rappresenta questo filone in maniera esemplare assumendo l’aspetto di un vero e proprio progetto industriale indotto dal mercato. Film come “Due soldi di speranza” e tutta la saga di “Pane amore e..” ebbero un successo smisurato al botteghino testimoniando i gusti e la mentalità dell’Italia e contribuendo in maniera attiva alla costituzione di un’identità nazionale.


L’aggettivo “rosa” è anche un indice della nuova centralità assunta dai soggetti femminili. La commedia di questo periodo offre numerose testimonianze delle trasformazioni e dei movimenti in atto nel tessuto sociale italiano dell’epoca. In questo periodo la donna comincia ad affacciarsi all’esterno, confrontandosi con il problema del lavoro e prendendo consapevolezza del proprio corpo. Il Neorealismo rosa a, differenza del cinema Neorealista precedente, supera la visione del soggetto femminile rassegnato e votato al sacrificio, mostrando, viceversa, la forza delle nuove generazioni che si sono lasciate alle spalle il trauma della guerra.

Francesco Silveri

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