La costituzione italiana: l’optimum che può e deve cambiare.
Il sen. Manuel Vescovi ha preso atto che la Costituzione del 1948 non è più quella che conosciamo, che abbiamo studiato e vissuto nei decenni nelle Istituzioni.
Essa è cambiata, come fatalmente cambiano tutte le vicende umane e i prodotti dell’intelletto dell’uomo, e deve essere letta forzatamente con quella che i costituzionalisti qualificano “materiale” o “sostanziale”.
Alla Costituzione scritta se ne è affiancata negli anni una che vive nelle pieghe dei rapporti e delle dinamiche relazionali fra Parlamento, Governo, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, magistratura, Corte Costituzionale, sindacati, partiti politici, associazioni di varia natura e Istituzioni europee ed internazionali. Ora questa costituzione forgiata fuori dalla Costituzione “legale” o “formale” necessita di venire alla luce. Vescovi ha capito che l’ottima Costituzione italiana necessita di essere non tanto adeguata, ma cambiata radicalmente.
Bisogna dare una forma a quella costituzione che negli anni si è composta fra e dietro le parole scritte nella Costituzione del 1948, rispondendo alle istanze che da lustri provengono dai territori, dalle regioni e dai comuni. Non solo. L’economia stessa chiede una nuova riscrittura della Costituzione, perché non si può negare un suo stretto e costante dialogo con la sfera del diritto.
Queste intuizioni già erano presenti nell’Italia dell’’800 nel pensiero di Cattaneo, intuizioni volte a valorizzare il regionalismo rafforzandone grandemente l’autonomia amministrativa, finanziaria, legislativa e politica, sino a cooptarlo nella vasta compagine organizzativa-ordinamentale del federalismo. Prepotente è avvertita l’esigenza di trasformare le Regioni in veri e propri Stati, federati in uno Stato unitario che mantenga competenze e poteri anche superiori a quelli dei singoli Stati i quali, però, vanno ad acquisire poteri esecutivi, parlamentari e giurisdizionali sino ad ora sconosciuti alle regioni.
Il modello è quello degli Stati Uniti d’America, da cui si mutua la denominazione, Stati Uniti d’Italia, che si fondano, non solo sul lavoro ma anche sulla impresa, costituzionalizzando, così, la realtà di larga parte del territorio nazionale che vede nelle micro, piccole e medie imprese un possente tessuto connettivo e una energica linfa vitale della economia italiana.
Non solo gli States ed il suo diritto alla felicità costituiscono il paradigma ordinamentale di riferimento, ma anche la Germania strutturata in Länder.
Un nuovo modello statuale nel quale si abbracciano e si compongono architetture statali come sviluppo maturo e compiuto delle regioni, unitamente ad uno Stato centrale che finalmente vede un Presidente della Repubblica anche Capo del Governo, ossia finalmente una Repubblica Presidenziale altalenante fra la stella polare statunitense e quella francese.
Una nuova Roma erta – come doveva essere da sempre – a Stato, sommo “status” fra i variegati “status” di Parigi, Londra e Washington.
Una nuova Italia ove possa giungere a compimento un dibattito secolare fra le migliori menti della dottrina giuspubblicistica italiana, e non solo.
Nel corso della chiacchierata che faremo nei prossimi giorni nel commentare questa riforma epocale – la Grande Riforma dopo troppe mini-riforme –, capiremo quale profilo assumerà il federalismo italiano e come si coniugherà lo Stato centrale con le sfere di azione dei singoli Stati, mantenendo lo sguardo volto ai cambiati rapporti con l’Unione europea e la comunità internazionale.
Prof. Fabrizio Giulimondi