05/04/2023 — Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale: Netflix “ha fatto anche cose buone”
Nella Germania del 1917 l’adolescente protagonista decide di arruolarsi nell’esercito tedesco insieme a tre amici suoi coetanei. Trovatosi alle prese con la brutalità della trincea comincia a rendersi conto che la guerra fosse in realtà quanto di più lontano dall’idillio romantico che gli era stato prefigurato dalla propaganda bellica. Con “Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” assistiamo ad uno dei casi, ormai sempre più rari, in cui Netflix mette da parte la retorica LGBT, green e femminista per produrre un contenuto di effettivo valore.
Ovviamente inserire tracce di politicamente corretto per affrontare un tema duro e cruento come la prima guerra mondiale sarebbe stata un’impresa ardua persino per chi, come i produttori di Netflix, basa il suo lavoro oscillando tra il radical chic più estremo e la soglia del ridicolo. Il film è ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque e, oltre al successo di pubblico registrato sulla piattaforma, è stato accolto positivamente anche dalla critica, aggiudicandosi numerosi riconoscimenti tra cui 4 premi Oscar. Del resto il primo conflitto mondiale è senza dubbio quello che si presta di più al linguaggio filmico. L’ambientazione della trincea, la tipologia di combattimento e le armi utilizzate lo rendono particolarmente adatto a restituire le dinamiche della battaglia tramite il mezzo cinematografico. Non a caso alcuni tra i più grandi War Movie sono ambientati in questo contesto. Dal capolavoro di Stanley Kubrik “Orizzonti di Gloria” con Kirk Douglas, all’italiano “La Grande Guerra” con Alberto Sordi e Vittorio Gassman magistralmente diretti da Mario Monicelli, fino ad arrivare al recente ed efficace “1917” di Sam Mendes, pellicola anch’essa giustamente pluripremiata agli Oscar.
Nonostante “Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” porti con sé, per forza di cose, un evidente messaggio antimilitarista, riesce ad affrontare il tema con un occhio estremamente oggettivo, senza fronzoli o eccessi di melodramma, descrivendo in maniera nitida lo stato di disumanizzazione e abbrutimento a cui inevitabilmente porta la guerra. Prima di arruolarsi, i giovani protagonisti, sono convinti che la Germania trionferà e che combattere per la propria patria sia la massima aspirazione a cui un adolescente possa ambire. Un ideale di patriottismo cieco indotto dalla propaganda bellica che necessitava disperatamente di carne da macello per quella che sarà una delle guerre più sanguinose della storia. Le loro nobili aspirazioni si spengono non appena si imbattono nella prima battaglia in trincea e, tra la paura e la disillusione, comprendono come bastino pochi secondi per perdere per sempre gli amici di una vita.
Mentre la linea narrativa principale immerge lo spettatore nelle atrocità della trincea, la narrazione secondaria riporta una guerra parallela, vista dall’alto del potere, fatta di scartoffie e burocrazia. Una guerra che vede protagonisti due potenti generali, uno consapevole della sconfitta inevitabile, che cerca di fermare una mattanza fine a se stessa accettando anche le più dure condizioni di pace e l’altro che invece, non curante delle vite dei soldati, insiste nel voler proseguire il massacro, nel tentativo di recuperare pochi centimetri di terreno, accecato da un sentimento di patriottismo distorto e deleterio. Un contrasto tra le due guerre abilmente evidenziato dalla scenografia che contrappone l’aspetto degradato, precario e lugubre della trincea a quello sfarzoso, calmo e agiato di chi decide le sorti di migliaia di uomini. Efficace anche la contrapposizione che descrive le differenze nelle abitudini culinarie tra le due situazioni: i soldati sono costretti a rubare il cibo o a nutrirsi di vecchi tozzi di pane conservati in tasca e pronti ad essere divorati nei rari momenti di quiete, i generali invece sono sempre circondati da montagne di cibo cucinato ad arte che non si fanno problemi a sprecare dimostrando benessere e opulenza.
“Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” rappresenta quindi una vera e propria eccezione prendendo in considerazione il panorama Netflix attuale. Una recitazione di livello che non lasciava troppi spazi alle performance attoriali ma che porta comunque in dote alcuni tra i più validi attori tedeschi come per esempio l’ottimo Daniel Brühl, celebre per numerose pellicole hollywoodiane. Una sceneggiatura asciutta e tremendamente semplice che però esprime con estrema efficacia i drammi dei personaggi, le loro inquietudini e i rapporti che condividono. Una regia che senza la necessità di ricorrere a particolari artifizi riesce a spettacolarizzare al punto giusto le dinamiche della battaglia restituendo allo spettatore un clima duro e spietato, grazie anche ad un utilizzo magistrale della luce e della fotografia. Tutto questo accompagnato da una colonna sonora tanto banale quanto eccezionale: tre note, arrangiate alla perfezione, straordinariamente coerenti con il contesto.
Non è un caso che 2 dei 4 Oscar vinti dalla pellicola siano proprio quello per la fotografia e quello per la colonna sonora. Altrettanto meritate le altre 2 statuette rispettivamente per la miglior scenografia, riuscendo a battere persino il costosissimo sequel di Avatar, e come miglior film straniero, dimostrando ancora una volta quanto il cinema tedesco sia secondo in Europa solo al cinema italiano (se non altro per storia) e di qualità nettamente superiore al sopravvalutato, sterile e retorico cinema francese. Oltre ai premi il film ha ricevuto altre 5 nomination tra cui miglior trucco, giustamente assegnato a “The Whale” per l’esemplare trasformazione di Brendan Fraser in un uomo di 150 chili, e migliori effetti speciali che non poteva che andare ad “Avatar – La Via dell’Acqua”. Una candidatura per la quale “Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” poteva tranquillamente aspirare alla vittoria è senza dubbio quella per il miglior film dell’anno, non tanto per l’evidente valore del film, quanto per l’irrilevanza dei suoi competitor. La statuetta più importante della premiere hollywoodiana è stata consegnata ad “Everything, Everywhere, All at Once”, un tripudio di politicamente corretto, tematiche LGBT e banalità dall’inesistente valore artistico.
È evidente come gli Oscar siano da sempre l’emblema del politicamente corretto che vince sull’arte. La dimostrazione più eclatante emerse quando “La Vita è Bella”, una pellicola ricca di retorica e falsi storici, fece fare a Benigni incetta di Oscar a scapito di film estremamente più significativi. Anche in questo caso il politicamente corretto ha vinto ma, la pellicola tedesca prodotta da Netflix, ci dice che finché ci sarà una fetta di pubblico annoiata dalla retorica LGBT, ci sarà ancora la speranza che non venga omologato tutto alla narrazione dominante.
Francesco Silveri