31/10/2022 — LA FEDE NEL VACCINO, “ARGOMENTUM NON APPARENTIUM”
I sacerdoti del vaccino, le vestali della multipla inoculazione hanno fatto ricorso al concetto di fede per giustificare la fiducia oltre ogni dimensione dello scibile umano nelle doti salvifiche del vaccino, quale impedimento alla trasmissione del virus. Prendendo indegnamente a prestito la Lettera agli Ebrei, potremmo affermare che quella Fede in Dio necessaria per la salvezza dell’uomo si sia tramutata, secolarizzandosi, nella fede nel vaccino, quale “non apparentium”, postosi al di là dell’intelletto e dei sensi: la fede ha conferito al vaccino, quale non apparentium appunto, un’essenza di verità rendendolo meritevole di fiducia. Soltanto in un’ottica fideistica di tale natura, accompagnata dalla paura della morte – “la paura è la norma che governa e si autogoverna …per forgiare un mondo che tutto accetterà pur di essere liberato da lei “ ( prof. Fabrizio Giulimondi “La paura è la vera Grundnorm”)-, paura indotta in dosi tutt’altro che omeopatiche con bollettini quotidiani in merito alla cui attendibilità in termini di decessi direttamente connessi al covid ampia è tuttora la discussione anche scientifica, potrebbe risultare giustificabile la pervicace condotta di alcuni che consiste nell’incensare le doti salvifiche del vaccino, anche dopo le rivelazioni scandalose, nel senso etimologico del termine, di una responsabile della società farmaceutica Pfizer, la quale, ha candidamente ammesso che non vi era alcuna prova scientifica che il vaccino avrebbe impedito la trasmissione del virus.
Apriti cielo, in pochi secondi il re era nudo, mostrando con la sua nudità ciò che era oramai da tempo empiricamente noto ai pensanti in buona fede, cioè l’assoluta inutilità del green pass trasformatosi, in un crescendo rossiniano, in un super green pass, rivelatosi uno strumento di pura vessazione psicologica e di conseguente induzione acritica alla inoculazione, quale presupposto per esercitare persino il diritto al lavoro. Tale concezione fideistica del vaccino ha infatti disseminato di fantasmi le nostra strade, individui di ogni estrazione sociale privati della socializzazione, del lavoro, di uno stipendio e della stessa dignità, costretti a fare ricorso alla “immigrazione interna” (La Cappa, Marcello Veneziani), quale forma di emigrazione mentale o spirituale rispetto al pensiero unico, acritico e dominante. Una privazione di diritti costituzionalmente garantiti, funzionale alla volontà punitiva del cosiddetto dissenziente, da emarginare come un pericolo per la convivenza civile, volontà in linea con un approccio altamente ideologico, anzi fideistico, che ha indotto persino alcuni avvocati a dichiararsi contrari ad assumere la difesa, davanti ai giudici della sezione lavoro, di coloro che fossero stati sospesi per non avere accettato l’olio miracoloso. La domanda corretta è chi adesso risarcirà tutti coloro che sono stati ingiustamente sospesi dal lavoro, umiliati pubblicamente, emarginati ingiustamente sul falso presupposto che il santo vaccino avrebbe impedito la diffusione dell’infezione? Un’altra domanda però incombe, e la risposta potrebbe rivelarsi esiziale: quanto la nostra società è disponibile ad accettare limitazioni e privazioni imposte in nome di nuove più o meno reali emergenze, o, se vogliamo, sino a quale punto ed al cospetto di quali scenari la nostra società occidentale è disposta a rinunciare ai valori fondanti la stessa, attribuendo valore di “argomentum” a qualsiasi “non apparentium”.
Silvio Pittori