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GESU’ AVREBBE SBAGLIATO NEL DETTARE IL TESTO DEL PADRE NOSTRO.

L’UOMO SEMPRE PIU’ DESTINATO AD UNA DECRESCITA UMANA E CULTURALE, SOTTRATTO ALLE PROVE DEL SIGNORE CHE NON PUO’ PIU’ INDURRE IN TENTAZIONE .

Niente più è come prima, recita la vulgata. Neanche il Padre Nostro, aggiungiamo noi. Devo ammettere che ad oggi non sono ancora riuscito a recitare il Padre Nostro, che mi accompagna da quando ero bambino, nella nuova veste con la sostituzione della formula “non indurci in tentazione” con la nuova formula “non abbandonarci alla tentazione”, ciò non per incapacità di memorizzare una modifica apparentemente semplice, né  perché “bastian contrario” di professione,  ma per contrarietà a questa nuova fede nella modernità propria della Chiesa Bergogliana e della CEI, spinte a modificare costantemente  l’ortodossia della Chiesa e la sua stessa liturgia, appiattendosi persino sulle indicazioni provenienti dal potere secolare, senza offrire motivazioni profonde ai credenti. Il cambiamento non è di secondo piano, in quanto offrire ai fedeli una traduzione  diversa da quella “classica”, fa intendere, lo si voglia o meno,  che la formula da sempre utilizzata era fallace, non potendo Dio, sostiene Bergoglio sino dall’anno 2017,  “indurre” in tentazione, nonostante quello sia il significato certo del termine latino e di quello greco, richiamanti appunto ambedue il concetto della induzione alla tentazione.

Ma che il significato originario sia quello – “indurre” appunto – poco deve importare all’uomo medio, ridotto al “panem et circenses”, destrutturato, non meritevole di approfondire i motivi sottostanti una modifica del genere,  forse irreversibile, e reso inadatto oramai a reagire a ciò che gli accade intorno,  reso volutamente incapace negli anni di “ seguir virtute e canoscenza” , in una sorte di decrescita culturale felice: la ricerca  di un ecumenismo a tutti i costi, che si sottrae  peraltro dall’approfondire il tema fondamentale, che rappresenta la caratteristica essenziale, la specificità della tradizione religiosa dell’Occidente, rappresentata da un Assoluto che si scioglie dalla sua originaria assolutezza per essere crocifisso con dolore, nonché  di un appiattimento sulle tesi di stampo protestante, non consentirebbero – ci viene detto – di immaginare  nostro Signore intento  ad “indurre” alla tentazione, condotta che sarebbe al contrario propria di Satana. Ed allora via di corsa a modificare ciò che ci ha accompagnato per secoli, senza spiegazioni se non di una superficialità sconcertante: nostro Signore non può indurci in tentazione, quindi cambiamo il testo. Per comprendere la correttezza o meno della scelta operata  della Chiesa Cattolica di Bergoglio e della attuale CEI,  sono andato a rileggere alcuni passi contenuti in uno dei libri scritti dal Papa emerito Benedetto XVI, dal titolo Gesù di Nazaret, in particolare quelle interessantissime pagine (192-196) in cui  ha approfondito da par suo (Fede e Logos), la formula “non indurci in tentazione”, dandone una interpretazione di altissimo spessore religioso e culturale, nella visione di una doverosa crescita dell’uomo quale creatura di Dio. Papa Ratzinger si sofferma proprio sulla frase “e non c’indurre in tentazione”, dandone una spiegazione perfettamente in armonia con la tradizione della Chiesa, e, lasciatemi dire, con il dettato di Gesù, ed invito chiunque sia interessato al tema a leggere il testo completo, di cui tenterò di fare una sintesi. Evidenzia il Papa emerito come Dio stesso nella sua onnipotenza – tornando alla definizione dantesca, “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole” – lascia che l’uomo sia messo alla prova, senza peraltro farlo cadere, in quanto “per maturare, per trovare davvero sempre più la strada che da una religione di facciata conduce ad una profonda unione con la volontà di Dio, ha bisogno della prova”, conoscendo  l’Amore attraverso un percorso di purificazione.  Nel solco delle prove che l’uomo deve superare per arrivare alla propria  purificazione, è pertanto naturale la richiesta rivolta dal singolo a Dio, e di cui alla preghiera del Padre Nostro, di consentire a Satana, che niente potrebbe ove non gli fosse a priori consentito dall’Assoluto, di tentare l’uomo in quei limiti in cui l’uomo stesso con le proprie forze, con la propria perfettibilità, con il proprio dovere di “sovrumanarsi” per essere capax Dei, possa resistere, sino alla purificazione appunto. Come affermato da San Cipriano “quando chiediamo e non c’indurre in tentazione esprimiamo la consapevolezza che il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è stato permesso da Dio; così che ogni nostro timore e devozione e culto si rivolgano a Dio, dal momento che nelle nostre tentazioni niente è lecito al Maligno, se non gli vien data di là la facoltà”. Quindi, la preghiera che rivolgiamo al Signore esprime la nostra disponibilità a farci carico della prova, commisurata per volontà di Dio alle nostre forze, che passa attraverso il permesso di Dio a Satana di procedere con le tentazioni. Interpretazione che pone in armonia il testo greco e quello latino  da un lato, e la grandezza, l’onnipotenza del Signore dall’altro. Ora, poiché a quanto è dato di conoscere la preghiera che ci occupa è stata letteralmente dettata da Gesù, mi chiedo se la svolta voluta da Papa Bergoglio e dalla Cei non sia implicitamente il riconoscimento di un errore di Gesù che non avrebbe voluto dire o non avrebbe dovuto dire ciò che da sempre risulta  abbia detto come riprodotto, mediante l’utilizzo di un vero che sia nella lingua greca che  in quella latina non lascia dubbi sul suo significato letterale: “indurre”. Al di là della esegesi del testo, che lascio ai teologi, ma che ritengo sia già stata ottimamente effettuata dall’immenso Papa Ratzinger, ciò che a me sembra si compia con la scelta di Papa Bergoglio e della Conferenza episcopale, è la volontà   di indurre per l’ennesima volta  l’uomo a quella decrescita  umana e culturale cui oramai da anni si assiste, sottraendolo persino all’idea della “prova” insita nell’espressione “indurre in tentazione”, quale strumento di crescita dell’uomo stesso, capace di conoscere  l’Amore assoluto mediante la tentazione.

Silvio Pittori

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